Una spalla nuda, messa in mostra da una ampia scollatura, con gesto quasi ammiccante, e tra le braccia scoperte un neonato, vestito di un voluminoso abitino bianco, stretto in un abbraccio forte e dolcissimo che solo una mamma può dare al proprio figlio suggellando il proprio amore.
Un incarnato pallido, quasi diafano a risaltare le rosee guance e la bocca semichiusa in rosso scarlatto, le unghie delle lunghe dita smaltate anch’esse di rosso, di una prorompente femminilità contrapposta al gesto materno e amorevole rivolto al bimbo, concesso beatamente alle effusioni della giovane genitrice.
Ecco questa l’immagine della statua in ceramica che, scintillante nella sua lucida superficie, osservavo con tanto interesse sognando tempi perduti di epoche lontane ponendomi domande a cui solo il tempo avrebbe dato concrete risposte.
Quella Dama infatti accompagnerà la storia della mia famiglia, sempre presente sia nei momenti di gioia: era lì mentre nasceva una delle mie sorelle ed io con la maggiore eravamo a dormire dai nonni, la notte della vigilia di Natale, e con gli occhi semichiusi la intravedevo nella debole luce dei lampioni della piazza filtrata tra le imposte delle persiane. Come pure nei momenti di dolore: era lì anche quando mio nonno ammalato spirò, sentinella muta ma attenta, la guardai e mi chiesi – com’è possibile che tu assista a tutto ciò che succede restando sempre impassibile?
Fantasie di un bambino che vede le cose nel proprio modo, in un mondo inaccessibile agli altri. Gli anni intanto passavano e quella stanza, dopo la morte del nonno, venne dapprima chiusa e lasciata intatta in tutti gli arredi e suppellettili, in seguito, per mutate esigenze, riutilizzata alienandone il contenuto, mobilio e tutto il resto, così anche la Dama finiva in un magazzino assieme ad altre stoviglierie e masserizie ormai in disuso.
Nella mia mente rimase però fissata sempre l’immagine di quella Dama e di quel suo particolare significativo atteggiamento materno, certamente pensai a lei quando in terza media la professoressa di educazione artistica propose alla classe intera una specie di concorso, nel quale chi avesse realizzato la migliore scultura in terracotta si sarebbe aggiudicato il primo premio. Io pensai di modellare nell’argilla una figura femminile che stringeva a sé il suo pargolo, in maniera assolutamente essenziale e sintetica, evocando così la Dama con bambino. Quella maternità vinse su tutti per la significativa originalità gestuale.
Trascorsi molti anni, mio zio, dovendo ripulire la cantina, dopo avermi chiesto se mi interessavano vecchie terraglie e stoviglierie di famiglia, mi consegna una cassa in legno contenente vecchi piatti accatastati in due pile instabili, su di essi, poggiata ancor più precariamente e ricoperta da una spessa coltre di polvere e ragnatele, scopro la sagoma di una figura a me familiare: la Dama!
Ripulita dallo strato polveroso mi accorgo che è miracolosamente intatta in tutte le sue parti, solamente il panno di feltro che ne protegge la base è stato attaccato dalle tarme ed è ridotto ormai a brandelli. Con estrema facilità lo stacco e mi accorgo che la base cava ha nel suo interno le tracce delle dita di colui che la modellò, solchi profondi lasciati nella materia da polpastrelli di sapienti mani su cui istintivamente faccio scorrere i miei, forse per carpire la gestualità dell’autore.
Osservando con maggiore cura la parte retrostante dove la dama siede elegantemente su uno sgabello barocco, noto una scritta a incisione corsiva e tento di leggerla, Guido Lani… guardando meglio leggo: “Cacciapuoti”, (Guido Cacciapuoti era stato un ceramista napoletano che si trasferì a Milano ove col fratello nel 1935 aprì una fabbrica di ceramiche) ed ai lati della firma autografa due scritte incise: a sinistra ERALDA – forse il nome della decoratrice? – e a destra l’anno di esecuzione: 1941.
Mia nonna si sposò con mio nonno proprio in quell’anno, lui militare in marina a servizio sul treno armato che faceva spola tra La Spezia e Ventimiglia, prese licenza matrimoniale per sposare la sua amata, durante la seconda guerra mondiale nacque la prima figlia, mia mamma, seguita poi da altri due figli.
La Dama era stata donata da un “viaggiatore”, cioè un rappresentante di ditte, o meglio un agente di commercio, che forniva il negozio dei miei nonni. Quando venne a sapere che i due, già fidanzati da diversi anni, si sarebbero sposati, scelse una ceramica di un certo pregio perché nel suo intento avrebbe dovuto essere benaugurante per due giovani sposi che si univano in matrimonio e aspiravano a formare una nuova famiglia.
Mio nonno era figlio unico e desiderava assolutamente una famiglia numerosa, mia nonna d’altra parte si trovava perfettamente in accordo con lui, dai tre figli sono nati undici nipoti, il nonno ha potuto conoscerne solamente quattro, ma la nonna che ha vissuto con noi fino all’età di novantacinque anni ha gioito della nascita di altrettanti pronipoti. La Dama che ora è sul mio comò è stata davvero profetica e continua ad essere un’importante presenza nella nostra storia.