Fil rouge
Il ricordo un po’ confuso e annebbiato di bambina di 6 o 7 anni: una piccola salita per arrivare ad una grande stanza con dentro poche persone ma piena di oggetti strani. Tavoloni di legno, “cose” che giravano con sopra terra che diventava un vaso, umidità e odore forse di terra bagnata.
Siamo tornati con due vasi e una ciotola. Li ho sempre visti in casa: nella ciotola a disegni stilizzati verdi e arancio con il manico in bambù e plastica la mamma metteva le noci. Un vaso con tre portafiori e un cervo al centro torreggiava in soggiorno sulla credenza di Cantù. L’altro vaso con il coperchio l’ho sempre visto in un angolo del corridoio: c’era un paesaggio giapponese con tanto di geisha. L’ho guardato spesso nei particolari tanto che ad un carnevale ho chiesto di avere il costume da giapponese.
Frugavo ogni tanto nelle credenze per sapere cosa nascondevano. Lo facevo di nascosto come entrassi in un mondo invisibile, che svelava ogni volta dei segreti: i piatti della nonna e quelli della mamma con i fiorellini, le tazzine con le damine, le caraffe con i tralci di edera. Non finivo mai di cercare e di guardare. Questi oggetti mi piacevano già allora, non sapendone il valore, ma cogliendone la storia e soprattutto la bellezza.
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Tra quest’epoca di sogni e di giochi e l’altra di scelte e di maturità c’è una sospensione: di ceramica non se ne “parla” più, la mia attenzione è su altro per un lungo periodo, finché la voglia di metter su casa mi fa dire in famiglia: “La caffettiera e la lattiera della nonna le porto via io”. Perfettamente inconsapevole della scelta, mi piacevano e basta. Posto d’onore nel mio nuovo soggiorno, ma così, tanto per dire che erano della nonna e che avevano una storia.
Altro salto d’epoca: divento mamma e il tempo per ceramiche e soprammobili non c’è proprio!
Ancora un cambiamento, ma di casa questa volta. La casa dei nostri sogni, con spazio per esporre anche le nostre passioni. E allora scopro un po’ alla volta che veramente le ceramiche e le porcellane le “sento”. E scopro anche che quella volta nel laboratorio, mio papà aveva comprato due pannelli in ceramica dei quali non sapevo proprio l’esistenza, trovati sopra un armadio dopo più di quarant’anni. E così ora sono nella nostra casa. Uno con un’immagine tratta dalla “Domenica del Corriere” anni ’60 e uno con figure in rilievo che ricordano lo stile di Picasso.
E poi le “congiure” della vita mi portano a fare mercatini di solidarietà e a comprare proprio per questo tanti oggetti in giro. Ad accorgermi piano piano che ‘ne so qualcosa’, che la passione cresce, che comprendo al volo l’epoca: stupore! Allora comincia una raccolta di ceramiche e porcellane soprattutto italiane (la nostra storia) e di oggetti che mi comunicano Bellezza.
Altro capitolo della mia vita: apro un negozio di usato e guarda caso le porcellane e le ceramiche predominano. Sto bene a contatto con loro, mi comunicano bellezza, storia e l’anima di chi le ha pensate e realizzate. Chi entra in negozio percepisce tutto ciò e spesso sento ripetere la stessa frase: “Che bene che si sta qui dentro!” Qualcuno viene solo per curiosare e per “riempirsi gli occhi” di sensazioni migliori del “mondo di fuori”.
Abbiamo bisogno di Bellezza e in qualche modo la mia passione cerca di trasmetterne un po’ agli animi che la cercano, attraverso oggetti inanimati ma con un’anima e con un senso. Alla fine di questo piccolo scritto mi rendo conto che non ho un oggetto da mostrare o fotografare: li amo tutti, fanno parte di me, della mia storia, della nostra storia e della mia vita.