Il Cavetto e le sue storie
Si narra che l’uomo sia stato plasmato dalla creta. Questa non è una storia di ceramiche ma sono vite che continuano nel tempo. Questi cavalieri e i loro cavalli creati dal maestro ceramista Eliseo Salino rappresentano la storia e la vita di persone che hanno frequentato un luogo speciale, in un posto speciale, in un’epoca speciale di Varazze.
Alla fine degli anni ’50 il ritrovo dei giovani amici delle compagnie di Varazze si chiamava “il Cavetto”. Un posto di incontri, una sala da ballo che nelle ore più profonde della notte riusciva a trasformarsi in un luogo amoroso e Bisca quando si giocava a dadi o a carte dove fumo, alcol e musica facevano da cornice. Tutto questo grazie al proprietario Elio Miretti, chiamato poi nei seguenti decenni “lo zio”, un personaggio aggregatore di persone, idee e amici, “il motore” che faceva girare questa macchina straordinaria dove sedevano dal capitano di industria al pescatore, dall’esercente concorrente al politico in carriera, dall’operaio al professionista, dall’artigiano al mantenuto.
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Negli anni 70 camaleonticamente si trasformò in ristorante, divenne anche luogo “chic” meta ambita dai gourmet, personaggi famosi, persone illustri, gente importante ma anche da quel gruppo di amici che continuava a frequentare e vivere quel posto come avevano sempre fatto, facendo respirare quei muri, quelle pareti che nel tempo si erano adornate di ceramiche dell’amico Eliseo Salino. Ricordo persino di una sala completamente rivestita di suoi pannelli che raffiguravano i suoi “mostri” chiamata sala Salino.
Il maestro e il proprietario, “sapendone una più del diavolo”, all’ingresso del locale, scendendo i due gradini, dove si accoglievano i clienti per portarli al bar, avevano creato e fatto posizionare i cavalieri sulle pareti nelle otto lunette laterali (quattro da una parte e quattro dall’altra ), illuminate in modo che chi fosse entrato passasse obbligatoriamente al centro, tra i cavalieri schierati e all’altezza dei loro occhi e potessero osservare gli stessi a cavallo in terracotta nella cui base un motto, una frase, un gioco di parole davano il benvenuto ai frequentatori del locale.
Tutto questo ha sempre accompagnato negli anni quello spirito goliardico e proibito degli anni che furono. Ora quel locale non esiste più, strappato e assassinato dallo strapotere del take away cino-nipponico, ma quel respiro, quelle storie, quelle vite sono riuscito a conservarli tra le pareti della mia casa insieme ai ricordi, ai sentimenti alle persone che ho conosciuto e mi fanno ancora crescere insieme a loro quando lo sguardo incrocia i cavalieri che danno il benvenuto a chi entra nell’ingresso di casa mia attraverso i loro motti, i loro proverbi e le loro vite.